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DALL'ARMENIA ALL'ITALIA: un messaggio di accoglienza

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Qualche mese fa, in un articolo pubblicato sul sito dell'YWCA mondiale, abbiamo raccontato come il nostro foyer di Torino sia diventato uno dei tanti punti di approdo dei richiedenti asilo accolti in Italia.
L'accoglienza è uno dei pilastri su cui poggia l'YWCA fin dalle sue origini:


"Per la diffusione delle Amiche e per il sostegno alla loro opera era di grande importanza la collaborazione della Young Women’s Christian Association (Ywca), nata in Inghilterra nel 1855 allo scopo di offrire un sostegno spirituale e sociale alle giovani donne e luoghi di riunione e ostelli per giovani studentesse e lavoratrici, e diffusasi rapidamente nei paesi protestanti e in quelli, come l’Italia, in cui erano presenti nuclei protestanti attivi."

Così scrive la prof.ssa Laura Savelli, impegnata in studi di genere, nel suo saggio La filantropia politica e la lotta per i diritti delle donne. Le reti internazionali”, a proposito della YWCA e di diverse altre organizzazioni, che avevano fatto della filantropia uno strumento non solo di assistenza ma anche di rivendicazione di diritti, sollecitando riforme e interventi da parte dello Stato per migliorare la condizione della donna, sia da un punto di vista sociale che civile.
Le Amiche di cui si parla nel saggio sono le Amiche della giovinetta, un movimento filantropico femminile affiliato a quello internazionale contro la regolamentazione statale della prostituzione, denunciandone la causa non nell'immoralità ma nella piaga della povertà.

Se alla fine dell'Ottocento le YWCA europee aderivano alla Traveller's Aid Society, diventando luoghi di appoggio per le ragazze che viaggiavano sapendo di potervi trovare rifugio da situazioni di sfruttamento sessuale o dalla inaffidabilità degli uffici di collocamento, negli anni Cinquanta e Sessanta i foyer in Italia accoglievano sia giovani lavoratrici -provenienti dal Sud Italia o da aree marginali del Nord- che donne disagiate che imparavano a cucinare, cucire e altri mestieri.
All'inizio degli anni Ottanta si assiste ad una crisi senza precedenti dei Paesi del Terzo Mondo: schiacciati da uno sviluppo demografico senza controllo in cui le condizioni di vita peggiorano drasticamente, gli Stati sono interessati da un massiccio movimento migratorio, sia volontario che forzato verso Paesi più ricchi, tra i quali l'Europa.
Il Senegal, la Nigeria, il Marocco, la Tunisia, le Filippine sono tra i Paesi più poveri con la maggiore spinta migratoria.
La caduta del muro di Berlino apre la strada per tutti gli anni Novanta anche all'emigrazione dall'Est Europa.
Dall'emigrazione interna l'Italia diventa paese di arrivo di molti migranti. Tra queste ci sono anche molte donne.
Riaffermando la sua sensibilità verso la donna, dal 1985 al 1994 l'YWCA ha ospitato nel foyer di Roma il progetto Donne migranti.
Lucia Doria, responsabile della struttura romana, così ci racconta quel periodo:


“Molte donne sono passate dal nostro foyer alla ricerca di una vita migliore e trovando assistenza di ogni tipo: dai corsi di lingua italiana a quelli di economia domestica per favorire l'inserimento nel lavoro domestico, una delle mansioni più richieste in Italia in quegli anni; alla consulenza burocratica per le pratiche di regolarizzazione della loro presenza nel nostro paese. Non solo donne però hanno trovato “casa” da noi, anche madri e bambini e interi nuclei familiari”.

Nel 1988, mentre crescevano le tensioni tra azeri e armeni che si contendevano il territorio – storicamente e culturalmente armeno – del Nagorno Karabakh, alla soglia dello scoppio di una nuova guerra tra due paesi ancora sotto la pressione sovietica, a Roma arrivavano Voskan e Annk Galashoon. In fuga dall'Armenia, insieme ai loro figli, avevano appena ottenuto dall'Italia lo status di rifugiati politici.
Nel foyer di Roma hanno vissuto per alcuni mesi, in attesa di ricongiungersi con il resto della loro famiglia negli Stati Uniti, prodigandosi molto in vari lavori di manutenzione della struttura.
Finissimo cesellatore di metalli, Voskan aveva fatto dono all'YWCA, nell'ormai lontano Natale 1988, di un quadro in ottone che riproduceva il logo dell'associazione. E lì aveva lasciato impressa la sua firma.
Dopo che la notizia del loro arrivo oltreoceano era giunta in foyer, di questa famiglia non si è saputo più nulla.
Lo scorso ottobre 2016, una giovane coppia americana in viaggio di nozze nella capitale entra in foyer:
“Pensavamo a normali turisti in visita alla città. Invece no! Era Liya, la seconda delle tre figlie di Voskan! Curiosa di sapere se in via Balbo ci fosse ancora l'YWCA, era passata a farci visita con suo marito. Ci ha commossi la sua gioia incontenibile nel rivedere i luoghi dove era stata insieme alla sua famiglia, la sua voglia di ripercorrere quel pezzo della sua vita, in particolare dopo la vista del quadro”.

Oggi quell'opera prodotta da suo padre è appesa all'ingresso del foyer, per raccontare a chi non l'ha vissuta una bella esperienza di accoglienza. Ma anche a memoria di chi c'era.
Oltre alla sua firma, è impresso un pensiero:


Mai nella vita potremo dimenticare quello che l'YWCA ha fatto per noi