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Roberta Negri: 40 anni di storia dell'YWCA

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“Parle lentement, je dois chercher les mots dans ma tête”

premette la novantaquattrenne Roberta Negri prima dell’inizio della sua intervista.

Tuttavia, ho scoperto solo in seguito di essere stata totalmente raggirata: la signora Negri non solo dimostrerà di ricordarsi tutte le date, i dialoghi e i nomi più importanti che in quel secolo si sono susseguiti, ma, per dipiù, di avermi fregata con estrema classe, nella seconda lingua che parla e ricorda ancora perfettamente.

Roberta Negri è una veterana dell’associazione YWCA con cui ho avuto il piacere di percorrere un viaggio nel tempo e nella storia. 

Signora Negri, cosa l'ha portata in Ywca e quando?

Frida Malan è stata una donna dell’YWCA, assessore del comune di Torino: una donna eccezionale, capace, dal carattere irruento. Nel 1982, Frida mi diede un passaggio in macchina per il funerale di un’amica in comune. Frida parlò tutto il viaggio dell’associazione di cui faceva parte, “mi fece una testa così”. Ma riuscì nel suo intento: quando scesi dalla macchina, davanti all’uscio di casa avevo già pagato la quota per diventare socia.

Cosa ricorda del clima politico in questi anni, soprattutto riguardo i temi cari alla YWCA (emancipazione femminile, parità di genere)?

Ho frequentato le elementari nel periodo fascista; ricordo i temi scolastici conclusi con la frase “viva il duce” e i sabati fascisti. Il sabato era il giorno della celebrazione del regime e dell’addestramento che il regime forniva al popolo; nel sabato fascista noi donne dovevamo imparare che non eravamo fatte per studiare, che dovevamo essere brave mogli e brave madri.

Ma quando la Seconda guerra mondiale terminò, le donne che negli anni precedenti avevano dovuto prendere il posto dell’uomo che si trovava in guerra, iniziarono ad alzare la voce, a chiedere diritti e spiegazioni.

Di lì in poi ricordo tutta una serie di formidabili risultati: l’abolizione della Ius Corrigendi, del diritto di famiglia e del delitto d’onore. Le donne si stavano facendo sentire e YWCA è sempre stata molto attiva, non nella politica, ma nella battaglia politica, amplificando la voce e i desideri delle donne.

Ci sono, nella sua lunga storia nella YWCA episodi di passaggio importanti che le piace ricordare?

Dopo il liceo, mio padre non mi diede il permesso di studiare medicina: mi dedicai all’infermieristica pediatrica. Mi piacevano i bambini e il campo medico e per questo motivo sono stata coinvolta da una socia di Torino per raccontare la mia esperienza nel settore. Grazie a lei e alla mia testimonianza, la regione Piemonte divenne la prima regione a permettere alle mamme di rimanere con i loro bambini malati anche dopo le 7 di sera e evitare la straziante scena dell’abbandono.

Più in generale, YWCA ha seguito tutte le campagne di emancipazione femminile, ma la forza di YWCA sta proprio nella sua capacità intuitiva: è sempre in anticipo. Era in anticipo quando già negli anni ‘80 ospitava vari migranti nelle sue strutture insegnandogli a lavorare per permettergli di inserirsi nella società; o quando nascondeva i primi casi di rifugiati politici provenienti dal Medio Oriente; e, da non dimenticare, anche lo straordinario lavoro per donne e bambini: YWCA era un safe space: gestiva nidi, dopo scuola, centri ricreativi per i bambini che provenivano da famiglie contadine del meridione, le quali si spostarono per iniziare a lavorare con la Fiat. Per le donne, ha sempre fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità: dal cucire corredi per permettere alle signore povere di maritarsi, fino alla chiusura delle case chiuse (legge Merlin) e alla creazione di uno specifico comitato comunale femminile a Torino (CAFT).

Quali sono secondo lei i mezzi per convincere una ragazza o un ragazzo ad impegnarsi in una associazione come YWCA?

I giovani di oggi sono attratti da cose concrete e materiali; si impegnano molto nelle attività che possano dargli risultati tangibili. Ma la parte morale, spirituale e politica non gli interessa più. E questo è un problema. Una volta spiegai ad un giovane perché la parola “lavacessi” non potesse essere un insulto; la pulizia di un bagno pubblico ha in realtà un’estrema importanza per la collettività (per esempio la limitazione di pandemie e batteri), cosi come tutti gli altri lavori: ogni minima opera ha il suo valore e ogni attività, fatta con una morale diversa, può portare ad esiti diversi.

Sarà necessario, allora, fargli comprendere come un’azione molto umile può portare a dei risultati molto grandi per far sì che non siano esclusivamente attratti da ciò che è fisicamente visibile.

L'YWCA una volta provò a farlo con il doposcuola del Lingotto (TO): iniziò a chiamare professori e professoresse per istruire bambini e ragazzi.

Allora è proprio questo il mezzo: conoscere lo scenario e comprenderlo, come YWCA è sempre riuscita a fare, e successivamente, formare ed educare: trovare attività che ci permettano di chiedere aiuto ai giovani, attività attraenti e intriganti che gli permettano di comprendere la grande potenza di un piccolo gesto.